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10 trucchi per perdere peso senza fare una dieta restrittiva

MINDFUL EATING – Non conta solo cosa mangi, ma anche come lo mangi.

Per un periodo della mia vita ho lavorato in una comunità terapeutica e spesso trascorrevo le notti in struttura. Al risveglio, la mattina seguente, facevo colazione assieme agli utenti della comunità.
Potevo prendere caffè, tè o latte, un pacchetto di fette biscottate e massimo tre biscotti.

Solitamente consumavo tutto molto in fretta, con la mente che viaggiava veloce nonostante l’orario: ho fatto tutto? ho dimenticato qualcosa? stanno tutti bene? cosa devo riferire ai miei colleghi?
Alle 9.00, finito il mio turno, andavo al bar a far colazione. Di nuovo.

Spesso poi a pranzo mi capitava di mangiare di corsa, a casa o al bar, consultando le mail al computer, rispondendo ai messaggi al cellulare o banalmente guardando il telegiornale alla TV.

Risultato: stavo prendendo peso, qualche etto alla settimana, ma dopo qualche mese potevo vederlo chiaramente quando mi guardavo allo specchio. Ero sorpreso: non mi ero praticamente accorto di nulla!
Non avevo tempo per fare ulteriore esercizio fisico, mi sembrava di avere pochissimo tempo per fare qualunque cosa, figurarsi cambiare le mie abitudini!


In quel periodo stavo studiando e approfondendo una particolare disciplina, la Mindfulness, che consiste nel “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante” (1994, Jon Kabat-Zinn).
Mi sorprese scoprire che la Mindfulness poteva essere applicata anche all’alimentazione. Così decisi di provare. La mattina seguente avrei consumato la colazione in modo “mindful”, consapevole e presente.
Col passare dei giorni l’esperienza fu sempre più intensa e gratificante. Non avrei mai pensato che una fetta biscottata potesse darmi così tanta soddisfazione. Non sentivo più il bisogno di andare al bar finito il mio turno… e questo grazie ad alcuni accorgimenti che puoi applicare anche tu. Scoprili qui sotto!


Perché dovresti provare a concentrarti su quello che stai mangiando:

  • Consumare un pasto lentamente aumenta la percezione dei sapori e riduce la fame, portandoti a mangiare solo le quantità necessarie.
  • Mangiare in maniera distratta o troppo velocemente riduce la capacità del tuo cervello di ricevere chiaramente i segnali interni come la sensazione di sazietà (1,2). Il tuo cervello ci mette circa 20 minuti prima di accorgersi che sei pieno! Rallentare significa dargli il tempo di ricevere questi segnali.
  • Mangiare impulsivamente in risposta ad emozioni sia piacevoli che spiacevoli porta ad una eccessiva assunzione di importo calorico e un aumento di peso (3);

10 semplici trucchi per iniziare a mangiare in modo più consapevole

  1. Mangia seduto, dai valore all’azione che stai per compiere.
  2. Mangia lontano dalle distrazioni, come la televisione, il cellulare, il computer o i giornali al bar.
  3. Prima di cominciare il pasto, prenditi qualche minuto per notare ed apprezzare i colori, le forme e l’odore del cibo che è sul tuo piatto.
  4. Quando dai il primo morso presta attenzione ai diversi sapori e alle consistenze dei cibi che hai in bocca, nota come cambiano mentre continui a masticare.
  5. Rallenta il ritmo con cui mangi di solito. Mastica ciò che hai messo in bocca circa 20 volte.
  6. Prendi delle pause tra un boccone e l’altro: puoi appoggiare ogni volta le posate o fare qualche respiro dopo aver deglutito.
  7. Nota i tuoi pensieri sul cibo (mi piace, non mi piace, mi è indifferente) senza giudicarli.
  8. Dopo qualche boccone, chiediti se sei sazio e ripeti questa domanda ogni tanto, finché non ti accorgi di esserlo. Porta la tua attenzione all’interno, ascoltati.
  9. Presta attenzione ed eventualmente annotati come il tuo corpo ti fa sapere quando sei affamato o sazio, in modo da imparare a riconoscere questi segnali più facilmente;
  10. Scegli quali cibi mangiare utilizzando tutti i tuoi sensi (olfatto, gusto, vista, udito e, perché no, anche tatto quando possibile), provando a coniugare proprietà nutritive e piacevolezza.

Prenditi il giusto tempo per avvicinarti a questa pratica. Non giudicarti se la prima volta ti riesce difficile. Sii gentile con te stesso, prova ancora e ancora, l’esperienza migliora di volta in volta.


Mangiare in questo modo funziona veramente?

“Mindful Eating” significa prestare totale attenzione al cibo che stai mangiando e a come lo stai mangiando, utilizzando tutti i sensi, evitando qualsiasi giudizio.
Non esiste un modo giusto o sbagliato per farlo, ci sono solo vari gradi di coscienza e presenza: cosa sto mangiando? perché? percepisco la fame? mi sento pieno?

Un gran numero di studi scientifici dimostrano che la Mindful Eating, andando a modificare le abitudini alimentari e riducendo lo stress, aiuta le persone a perdere peso (4).
Ad esempio, un corso di gruppo di 6 settimane sulla Mindful Eating per persone con obesità ha portato ad una perdita di peso media tra i partecipanti di 4 kg, mantenuta anche al controllo successivo (5).
Un altro intervento di gruppo della durata di 6 mesi ha fatto registrare una perdita di peso media tra i partecipanti di 12 kg, senza nessun riacquisto di peso nei 3 mesi successivi.


Prova a consumare un pasto consapevolmente e condividi la tua esperienza nei commenti!

 dott. Alessandro Polo
Psicologo – Psicoterapeuta

BIBLIOGRAFIA

  1. van der Wal, Reine C., and Lotte F. van Dillen. “Leaving a flat taste in your mouth: task load reduces taste perception.” Psychological science 24.7 (2013): 1277-1284.
  2. Wallis, Deborah J., and Marion M. Hetherington. “Stress and eating: the effects of ego-threat and cognitive demand on food intake in restrained and emotional eaters.” Appetite 43.1 (2004): 39-46.
  3. Blair, A. J., V. J. Lewis, and David A. Booth. “Does emotional eating interfere with success in attempts at weight control?” Appetite 15.2 (1990): 151-157.
  4. Daubenmier, Jennifer, et al. “Mindfulness intervention for stress eating to reduce cortisol and abdominal fat among overweight and obese women: an exploratory randomized controlled study.” Journal of obesity 2011 (2011).
  5. Dalen, Jeanne, et al. “Pilot study: Mindful Eating and Living (MEAL): weight, eating behavior, and psychological outcomes associated with a mindfulness-based intervention for people with obesity.” Complementary therapies in medicine 18.6 (2010): 260-264.
  6. Niemeier, Heather M., et al. “An acceptance-based behavioral intervention for weight loss: a pilot study.” Behavior therapy 43.2 (2012): 427-435.

Quando l’utilizzo dei videogiochi diventa una dipendenza

VIDEOGIOCHI – La differenza tra utilizzo normale ed eccessivo di videogames e applicazioni.

Se usati con moderazione, i videogiochi possono portare molti benefici. Quando però il tempo trascorso a giocare diventa eccessivo, fino al punto di diventare la principale occupazione nella vita di un’adolescente o di un giovane adulto, i genitori iniziano a preoccuparsi. Che fare allora?

Molti giovani passano ore davanti agli smartphone e alle console. Hanno tutti una dipendenza da videogames o social networks? Non necessariamente. Alcuni bambini possono diventare irascibili, rifiutarsi di fare i compiti e rimanere chiusi in camera giornate intere. Neppure questo implica però la presenza di una dipendenza comportamentale.


L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la dipendenza da videogiochi (con il nome di “Gaming Disorder”) nella “Classificazione Internazionale delle Malattie” (ICD-11) come “un insieme di comportamenti persistenti e ricorrenti legati al gioco, sia online che offline, che consistono in perdita di controllo sul gioco (inizio, durata, frequenza, etc), crescente priorità data al gioco rispetto ad altri interessi e attività quotidiane, mantenimento del comportamento di gioco nonostante il verificarsi di conseguenze negative”.

La dipendenza patologica da videogiochi è stata inclusa anche nella “Sezione 3” del “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM-5), area dedicata alle condizioni che necessitano di ulteriori studi ed approfondimenti. Qui prende il nome di “Internet Gaming Disorder” e comprende la dipendenza da videogiochi sia online che offline.

Solitamente non si parla di dipendenza se non si verifica una “compromissione significativa nel funzionamento personale, familiare, sociale, educativo, lavorativo o in altre aree importanti” e i comportamenti di gioco non sono “presenti ed evidenti per un periodo di almeno 12 mesi” (la durata prevista per poter fare una diagnosi può venire ridotta se tutti i requisiti diagnostici sono soddisfatti e i sintomi sono gravi).


Quali sono le cause della dipendenza da videogiochi?

I videogiochi utilizzano i principi base della psicologia comportamentale per farti rimanere davanti allo schermo e per indurre dipendenza. Molti giochi forniscono esperienze estremamente stimolanti che favoriscono il rilascio di un grosso quantitativo di dopamina, un neurotrasmettitore prodotto naturalmente dal nostro corpo che agisce sul sistema nervoso centrale e sul nostro umore (viene rilasciata quando siamo in contatto con stimoli piacevoli).

Una sovraesposizione ad un alto livello di dopamina può provocare cambiamenti strutturali al nostro cervello: più ci immergiamo in un’esperienza iper-appagante, più si alza nel nostro cervello la soglia necessaria per provare piacere. I giovani iniziano così a vivere in un mondo dove è possibile avere una gratificazione immediata, dove spesso è possibile sbagliare senza gravi conseguenze, dove il giudizio degli altri può essere tenuto lontano grazie alla creazione di “avatar” dalle caratteristiche molto diverse dalla persona che li controlla.

I videogiochi possono essere così coinvolgenti da farti immergere al loro interno per ore e ore, senza neppure accorgersi del tempo che passa. Ti permettono di evadere dalla realtà che stai vivendo, ti permettono di non pensare ai problemi, alle cose che ti fanno star male (in questo assomigliano in tutto per tutto ad altre sostanze che creano dipendenza, come alcol e droga). Sono ambientati in mondi in cui ti senti al sicuro, in cui hai il pieno controllo del tuo personaggio, che può migliorare lungo la storia e renderti orgoglioso dei suoi progressi.

Una volta fuori da questo mondo “magico” e “ovattato”, è difficile adattarsi ad una realtà spesso difficile, dove è inevitabile provare fatica e dolore. I giovani rischiano di sviluppare una bassa tolleranza alla frustrazione (a causa delle dinamiche dei videogiochi che garantiscono il raggiungimento di ricchi “premi” ed obiettivi in breve tempo e con poco sforzo); tutto ciò li spinge a preferire il mondo virtuale alla complicata rete di compiti e relazioni interpersonali che li aspetta fuori dalla loro stanza.

Nel 2020 una grossa fetta di popolazione giovanile ha inoltre perso l’abitudine a passare il tempo libero all’aria aperta, giocando o relazionandosi con i pari età. In molte aree urbane non è neppure possibile farlo, per la pericolosità dei quartieri o per l’assenza di zone predisposte, come parchi o campi sportivi. Venendo a mancare questo tipo di esperienze, è molto facile per i giovani trovare rifugio nei videogiochi, in quanto facilmente accessibili e in molti casi gratuiti (basti pensare a giochi online come “Fortnite” o alle numerose app scaricabili in pochi secondi sullo smartphone). Si può arrivare a perdere così la consapevolezza del tempo e delle tappe evolutive che rallentano a discapito di una “ vita virtuale”.


Come mi accorgo se è una vera e propria dipendenza? Quali sono i segnali di allarme?

L’American Psychiatric Association ha identificato 9 segnali d’allarme da tenere sotto osservazione per riconoscere precocemente l’insorgere di una dipendenza da videogiochi:

  1. Presenza di preoccupazioni relative ai videogiochi: la persona pensa ai videogiochi anche quando è impegnata in altre attività, ripensa alle sessioni di gioco precedenti e pianifica le future, arrivando anche ad anticiparle a causa di un desiderio irrefrenabile;
  2. Sintomi di astinenza, se impossibilitati a giocare (solitamente irritabilità, ansia, noia, tristezza, agitazione);
  3. Bisogno di passare sempre più tempo davanti ai videogames (tolleranza), spesso dovuto al desiderio di completare “missioni” lunghe e complicate o alla paura di non rimanere al passo degli altri utenti;
  4. Tentativi falliti di ridurre o controllare il tempo passato a giocare;
  5. Perdita di interesse verso altri hobbies o attività precedentemente apprezzate (sportive, sociali, etc…);
  6. Utilizzo eccessivo e continuativo dei videogiochi nonostante questo comporti problemi in molte aree della sua vita;
  7. Tentativi di imbrogliare, mentire o nascondere ai familiari l’effettivo tempo trascorso a giocare;
  8. Utilizzo dei videogames come strumento per allontanare sentimenti negativi (ansia, rassegnazione, sensi di colpa, tristezza, etc…);
  9. Rischio o effettiva perdita di relazioni significative, anni scolastici o opportunità di carriera lavorativa a causa del tempo speso giocando ai videogiochi.

Nel caso in cui siano presenti 5 o più di questi segnali d’allarme per un periodo di 12 mesi, potrebbe essere già presente una dipendenza da videogiochi ed è opportuno contattare uno psicologo specialista per una valutazione più approfondita.


Come aiutare un figlio ad uscire dalla dipendenza da videogiochi?

Esistono numerosi articoli su questo argomento ed alcuni contengono dei suggerimenti che non condivido, tra cui l’indicazione di sottrarre e nascondere la console di gioco (o il cellulare se è quello lo strumento utilizzato per giocare) nel caso in cui il figlio non rispetti le regole imposte dai genitori. Se questo consiglio può essere utile nelle fasi iniziali di approccio al mondo dei videogames, di sicuro non è altrettanto efficace quando si sospetta la presenza di una dipendenza e l’utilizzo è già sregolato (provate ad immaginare cosa succede se sequestrate alcol o sostanze stupefacenti ad una persona che ne è dipendente, la reazione sarà la medesima).

Quelle che seguono sono dunque delle indicazioni personali, alla luce delle esperienze fatte in questo campo, e non vogliono essere delle regole da seguire assolutamente, in quanto ogni situazione specifica richiede le opportune personalizzazioni. Ecco dunque 5 suggerimenti per aiutare un figlio o una persona cara ad uscire dalla dipendenza da videogiochi:

  1. Trova il momento opportuno (sicuramente non durante una sessione di gioco) per parlare con tuo figlio: chiedigli a cosa gioca, cosa gli piace di quei giochi, se ha anche altri interessi, etc… Non metterlo alle strette sul tempo che passa sui videogames, mostrati piuttosto interessato a capirci qualcosa in più. Difficilmente la conversazione durerà molto se non siete abituati a farlo, per cui preparatevi ad affrontarla in più momenti, senza affrontare tutta la questione in unica volta;
  2. Prova a far esplicitare a tuo figlio (senza dirli direttamente tu) tutti gli aspetti negativi connessi ad un utilizzo eccessivo dei videogiochi: prova ad indagare se sono presenti delle difficoltà in alcune aree (sociale, scolastica, lavorativa, affettiva, etc…) e dei bisogni non soddisfatti. I videogiochi potrebbero essere utilizzati come fuga da situazioni spiacevoli o da compiti in cui ci si sente sufficientemente attrezzati e preparati. È importante capire su quali stimoli far leva per aumentare la motivazione al cambiamento;
  3. Se percepite disponibilità al cambiamento, provate a concordare delle “regole di utilizzo” dei videogiochi, finalizzate ad aumentare il benessere e ad evitare le conseguenze spiacevoli dovute al gioco eccessivo. Ad esempio, potreste definire un tetto massimo di ore da dedicare al gioco oppure limitare l’utilizzo di alcuni videogiochi (i giochi che prevedono l’esplorazione di mondi molto vasti o che sono basati sulla crescita dei personaggi/squadre tendono a creare una maggiore dipendenza). Le regole in ogni caso non vanno imposte ma vanno concordate;
  4. Proponi di considerare il tempo dedicato ai videogiochi come un “premio” ottenibile a determinate condizioni: ad esempio, potresti concedere un’ora di gioco per ogni ora passata a fare i compiti o ad aiutare in casa. In ogni caso il premio va elargito subito dopo il raggiungimento dell’obiettivo concordato, non prima;
  5. Proponi attività alternative ai videogiochi a tuo figlio, come ad esempio attività fisiche (sport, camminate o giri in bicicletta) o hobbies più sedentari (leggere libri con ambientazioni simili a quelle dei videogames, suonare uno strumento, dedicarsi alla cura delle piante o di un orto, etc…). Nell’esplorazioni di queste attività, il giovane andrà accompagnato, o dai genitori o dagli amici, che potrebbero essere coinvolti per aiutarlo a sviluppare nuove passioni.

Nonostante giocare ai videogames possa essere a tutti gli effetti un’esperienza di apprendimento e crescita, è fondamentale offrire ai più giovani una varietà di stimolazioni diverse, che gli permettano di divertirsi ed imparare allo stesso tempo. Solo così possiamo prevenire l’insorgere di una dipendenza da un singolo stimolo/fattore. Tutto andrebbe vissuto e assaporato con moderazione.


Se pensi di aver bisogno di ulteriori informazioni per comprendere meglio la tua situazione, non esitare a contattarmi via mail o chat. Se invece vuoi condividere e discutere la tua esperienza, scrivi pure nei commenti, sarò lieto di leggere e risponderti!

dott. Alessandro Polo
Psicologo – Psicoterapeuta


BIBLIOGRAFIA

  1. American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
  2. World Health Organization. (2018). International classification of diseases for mortality and morbidity statistics (11th Revision). Retrieved from https://icd.who.int/browse11/l-m/en

Rimedi alternativi ai farmaci per sconfiggere l’insonnia

INSONNIA – Come dei semplici rumori possono aiutarti a prendere sonno.

Fai fatica a prendere sonno?
Ti svegli parecchie volte durante la notte?
Oppure ti svegli presto e non riesci più a prendere sonno?

Se stai annuendo a queste domande, allora potresti avere difficoltà a concentrarti durante il giorno ed essere facilmente irritabile. Il sonno e il riposo sono bisogni fondamentali a cui ciascuno di noi presta attenzione… eppure l’insonnia è un disturbo così diffuso!

Brevi periodi di sonno disturbato (che vanno da qualche giorno a poche settimane) possono essere dovuti allo stress o a dei cambiamenti nelle tue abitudini o negli ambienti che frequenti quotidianamente. Si parla di insonnia cronica quando il problema persiste da più di 3 mesi, è presente per almeno 3 notti ogni settimana e non è spiegabile da altre problematiche di salute.

Sia che si tratti di un problema temporaneo che cronico, nel resto dell’articolo puoi trovare validi consigli e suggerimenti per sconfiggere l’insonnia!


Trucchi per combattere l’insonnia e dormire meglio: l’igiene del sonno

Per migliorare la qualità del sonno, è necessario iniziare analizzare i comportamenti che interferiscono con esso fino ad arrivare a modificare il proprio stile di vita. Adottare buone abitudini può infatti aiutare più di qualsiasi farmaco. La pratica che spiega quali cambiamenti ambientali e comportamentali effettuare prende il nome di igiene del sonno.

Vediamo quali sono le accortezze da prendere per migliorare il proprio sonno:

• Cerca di rendere la tua camera da letto un posto ideale per il riposo. Cerca di evitare che la temperatura della stanza sia troppo bassa o elevata ed evita di tenere accesa la luce artificiale della TV o di altri dispositivi elettronici, in quanto posso disturbare il tuo ciclo sonno veglia.

• Vai a dormire e svegliati agli stessi orari ogni giorno, anche nei weekend se possibile. Se non puoi evitare i turni di notte o orari di lavoro irregolari, prova a limitare il più possibile l’impatto che hanno sulle tue abitudini.

Evita caffeina, nicotina e alcolici nelle ore prima di coricarti. Nonostante l’alcol renda più facile l’addormentamento, tende a rendere più leggero il sonno e a causare di conseguenza dei risvegli notturni.

Pratica attività fisica regolarmente durante il giorno, ma almeno un paio di ore prima di andare a dormire; un’attivazione fisica prima di coricarsi può rendere più complicato l’addormentamento.

Evita i “pisolini”, soprattutto nel pomeriggio.

Evita le cene in tarda serata e limita la quantità di liquidi assunti in orari serali e notturni.


E nei casi più gravi? In che cosa consiste il trattamento psicologico?

La terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia (CBT-I) prevede un trattamento che va dalle 6 alle 8 settimane durante le quali la persona impara ad addormentarsi più velocemente e a rimanere addormentata più a lungo. L’igiene del sonno ha una funzione preventiva rispetto all’insorgere di un vero e proprio disturbo, questa terapia invece è l’opzione più raccomandata per chi soffre di insonnia da molto tempo.

Il trattamento è strutturato in “moduli” che prevedono l’acquisizione di tecniche e conoscenze utili a migliorare la qualità del sonno:

  • psicoeducazione sul sonno, utile a comprendere i meccanismi che facilitano o disturbano il sonno;
  • tecnica del controllo degli stimoli ambientali (TCS), finalizzato a rompere i condizionamenti esistenti e a crearne di più funzionali (letto=sonno);
  • terapia cognitiva, finalizzata a ristrutturare le convinzioni e i pensieri che interferiscono con il sonno;
  • tecniche di rilassamento e/o meditazione, come ad esempio la respirazione diaframmatica, il rilassamento muscolare progressivo e le visualizzazioni guidate;
  • tecnica della restrizione del sonno (SRT), mirata a limitare il tempo che la persona trascorre a letto in modo da risincronizzare il ritmo sonno-veglia.

La terapia qui descritta in breve si è rivelata efficace nel 75-80% dei soggetti con insonnia e favorisce nel 90% dei casi la riduzione (o addirittura l’eliminazione) dell’utilizzo di farmaci inducenti il sonno (₁ ₂ Perlis, 2012, 2015).


Un rimedio naturale: il rumore bianco

Se la tua situazione non è cronicizzata, ti basterà rivedere le tue abitudini e seguire le indicazioni fornite sopra. Nel caso in cui questo non basti, esiste un’ulteriore risorsa da testare.

Se fai fatica ad addormentarti o vieni spesso risvegliato a causa dei rumori presenti dentro e fuori la tua camera da letto (un partner che russa, un cane che abbaia, dei vicini rumorosi), potresti avere dei benefici nell’utilizzare il rumore bianco. Il rumore bianco (in inglese “white noise”) è un insieme di suoni che copre l’intero spettro di frequenze udibili dall’orecchio umano (20-20000 hertz), caratterizzato dall’assenza di periodicità nel tempo (è sempre costante e somiglia al rumore prodotto da un ventilatore acceso).

Uno studio del 2007 (₃ Forquer & Johnson) ha dimostrato che il rumore bianco produce effetti positivi per il sonno per un numero significativo di persone, in quanto contribuisce a ridurre il tempo necessario per addormentarsi e abbassa il numero di risvegli notturni; un altro studio del 2016(₄ Afshar et al.) ha invece fatto registrare un aumento delle ore dormite (da 4.75 a 7.08 ore) nelle persone ricoverate nella terapia intensiva cardiologica, grazie all’utilizzo di dispositivi che emettevano rumore bianco in modo continuativo durante la notte.

Il rumore bianco, di fatto, copre tutti i rumori che potrebbero interrompere il nostro sonno durante la notte, grazie appunto alla sua frequenza costante. Anche se all’inizio questo suono può apparire sgradevole, dopo qualche minuto il nostro cervello si abitua ad esso e tende ad ignorarlo: questo è possibile grazie al fenomeno dell’abituazione che si verifica quando veniamo esposti ripetutamente ad uno stimolo sempre uguale. Il rumore bianco maschera gli altri suoni e per il nostro cervello è più difficile monitorare l’ambiente alla ricerca di possibili fonti di pericolo (è un meccanismo evolutivo, per fortuna siamo programmati per farlo); la conseguenza è dunque un abbassamento dell’attivazione fisiologica e una migliore qualità del sonno.


5 benefici derivanti dall’utilizzo del rumore bianco (“white noise”)

  1. permette di costruire una routine utile all’addormentamento;
  2. copre altri rumori che potrebbero disturbarti;
  3. contribuisce a calmare il nostro flusso di pensieri;
  4. diminuisce la probabilità di risvegli notturni;
  5. è utilizzabile ovunque, grazie alle numerose app scaricabili sul tuo smartphone.

Se hai difficoltà a prendere sonno prova ad utilizzare il rumore bianco e scrivi la tua esperienza nei commenti! Se anche questo strumento non funziona, contattami per una più dettagliata valutazione della tua insonnia!

dott. Alessandro Polo
Psicologo – Psicoterapeuta


BIBLIOGRAFIA

  1. Perlis, M., Jungquist, C.R., Smith, M., & Posner, D. (2012). Il Trattamento cognitivo-comportamentale dell’insonnia. Linee guida per la pratica clinica. Milano: Franco Angeli.
  2. Perlis M., Aloia, M., Kuhn, B. (2015), Trattamenti comportamentali per i disturbi del sonno, Giovanni Fioriti Editore s.r.l., Roma.
  3. Forquer, L. M., & Johnson, C. M. (2007). Continuous white noise to reduce sleep latency and night wakings in college students. Sleep and Hypnosis, 9(2), 60.